Confapi Taranto Osservatorio internazionale

Osservatorio internazionale #37

Osservatorio internazionale #37

IL REGNO UNITO ALLA RICERCA DI UN POSTO NEL MONDO

Londra cerca il suo posto nel mondo. Una consapevolezza, dopo la Brexit: quel posto non potrà essere solitario. E Starmer se ne è reso conto.
Il Regno Unito cerca il suo posto nel mondo dopo la Brexit e col governo di Keir Starmer prova a siglare i primi accordi commerciali globali per costruire un nuovo rapporto con i partner storici e mettersi definitivamente alle spalle la stagione dell’uscita dall’Unione Europea.
Il mese di maggio ha segnato tre momenti strategici su questo fronte. 6 maggio: accordo commerciale con l’India, un patto atteso dal referendum sulla Brexit nel 2016 e che il governo di Londra persegue attivamente da quasi cinque anni. 9 maggio: accordo con gli Stati Uniti per provare a mantenere attiva la relazione speciale Londra-Washington anche sul piano degli scambi economici dopo i chiari di Luna imposti dai dazi di Donald Trump. 19 maggio: “reset” con l’Unione Europea col trattato di Lancaster House che normerà i rapporti a tutto campo tra Londra e Bruxelles nell’era post-Brexit, andando dalla Difesa ai rapporti sugli scambi intellettuali e accademici, passando ovviamente per la definizione di standard tariffari e commerciali chiari.
L’esecutivo di Keir Starmer, in crisi di consensi sul fronte interno, a meno di un anno dal suo insediamento rivendica queste intese come prioritarie e strategiche per costruire un sistema di relazioni globale e sistemico in cui il Regno Unito post-Brexit possa davvero diventare “globale”. Ma se la Global Britain pensata da Boris Johnson e dal Partito Conservatore negli anni scorsi doveva essere una piattaforma finanziaria autonoma, la “Singapore sul Tamigi” tesa a navigare nella globalizzazione in autonomia consolidando così la proiezione internazionale dell’Occidente, Starmer la pensa diversamente: per il leader del Partito Laburista la priorità oggi è mantenere vivo l’asse transatlantico in tempi incerti per le partnership euro-americane da un lato e consolidare la rete che vincola Londra e i partner del Commonwealth dall’altro.
Sul primo fronte, è da notare come nelle scorse giornate Londra abbia provato a tenere un fronte comune con l’Ue sull’Ucraina per controbilanciare il solipsismo di Donald Trump mantenendo comunque un’apertura chiara a Washington. Il Regno Unito si è schierato con gli Usa nel colpire i ribelli yemeniti Houthi con l’intervento della Royal Air Force e Starmer ha più volte perorato la causa di un grande summit transatlantico capace di trovare una quadra al sistema di relazioni oggi in difficoltà. Inoltre, nella giornata di giovedì 22 maggio è stato firmato l’accordo con Mauritius per la restituzione allo Stato africano delle Isole Chagos che però preserva il controllo militare su Diego Garcia, base britannica ampiamente sfruttata dagli Usa nell’Oceano Indiano. Sul secondo fronte, invece, da sottolineare il ruolo proattivo della monarchia, come dimostrato dalla visita politica di Re Carlo III nel Canada governato da Mark Carney, stretto alleato di Starmer, per plasmare una nuova “relazione speciale” parallela a quella anglo-statunitense. Londra cerca, dunque, il suo posto nel mondo ma un dato di fatto è chiaro: quel posto non potrà essere solitario. E Starmer se ne è reso conto.

CANADA, LA FORZA DEL PARLARE CHIARO

Ucraina, Gaza, dazi di Trump: Mark Carney e il suo Canada si possono permettere il privilegio del parlare chiaro. E provano a tenere unito l’Occidente Quando il 6 maggio scorso Mark Carney è arrivato alla Casa Bianca per incontrare Donald Trump il presidente Usa non ha potuto non tributare al primo ministro canadese rispetto e stima per la recente vittoria elettorale del Partito Liberale, guidato dall’ex banchiere centrale di Ottawa e del Regno Unito e che ha saputo rimontare il Partito Conservatore proprio rivendicando una sua distanza e diversità dal vicino meridionale del Paese nordamericano. “Il Canada non è in vendita”, ha ribadito Carney al tycoon, in riferimento alle provocazioni di Trump sulla possibile annessione del Paese agli Usa come 51esimo Stato.
Ne è uscita una conversazione a tutto campo, energica ma in cui Carney è uscito a testa alta ribadendo la volontà di Ottawa di proseguire la sua linea favorevole all’unità euro-atlantica e, da presidente di turno del G7, dei virtuosi rapporti con gli alleati extraeuropei.
Carney ha anche ribadito la sua volontà di consolidare l’alleanza delle potenze anglofone (USA, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda) fondato sul patto d’intelligence Five Eyes e di proseguire con forza il sostegno all’Ucraina in guerra con la Federazione Russa. Ha sottolineato il sostegno di Ottawa all’ordine multilaterale. Parole? No, anche fatti: il Canada ha consolidato la partnership interna ai Five Eyes con Australia e Regno Unito e Carney ha firmato con Starmer e Emmanuel Macron una lettera critica dell’attacco israeliano a Gaza in nome della difesa dell’ordine multilaterale, annunciando sanzioni contro i coloni israeliani e programmandone contro diversi ministri del governo di Benjamin Netanyahu. Il Canada parla chiaro e prova a consolidare una linea precisa: ricucire tutte le fratture interne all’Occidente. Ce ne è molto bisogno. Carney prova, in virtù della sua “incensurabilità” e dell’effetto-novità, a tirare il gruppo.

ROMANIA, PARTE L’ERA DAN: BUCAREST CERCA IL RITORNO ALL’ORDINE

Il presidente vincitore delle elezioni lancia il suo mandato nel nome dell’Europa in un Paese diviso La Romania ha votato e Nicosur Dan è stato eletto presidente, rappresentando la componente europeista e moderata della società del Paese e sconfiggendo George Simion, candidato nazionalista partito in vantaggio al ballottaggio di domenica 18 maggio. Un risultato importante quello del sindaco di Bucarest, insediatosi presidente nella giornata di lunedì 26 maggio come coronamento di una carriera che da professore di matematica e attivista anticorruzione l’ha visto scalare il Paese senza tessere di partito, ma con l’appoggio di una cordata di formazioni, tra cui l’Unione per la Salvezza della Romania (Usr) liberale e di centrodestra, che criticano il duopolio formato da Partito Socialdemocratico e Partito Nazional Liberale sul fronte interno e della lotta alla corruzione senza venire meno alla loro vocazione aperta ai legami con la Nato e l’Unione Europea.
La missione del 55enne Dan non sarà facile. Il neo-presidente ha dichiarato a Politico.eu di voler portare la Romania ad esercitare un ruolo più “attivo” negli affari comunitari come leader di un Paese solido e rinnovato. “L’approccio analitico di Dan potrebbe rivelarsi prezioso in questi complessi negoziati, in un momento in cui l’Europa orientale sta diventando sempre più centrale nell’architettura di sicurezza europea”, ha commentato Elena Calistru, cofondatrice e presidente di Funky Citizens, un’ONG civica di Bucarest.
Per Politico.eu molto dipenderà dalla capacità del neo-capo di Stato di costruire un governo stabile: “Dan ha dichiarato che collaborerà con i partiti filoeuropei in parlamento, sebbene il più grande tra loro – il Partito Socialdemocratico (PSD) – stia valutando se preferisca svolgere un ruolo di opposizione. Dan vuole nominare il rispettato presidente ad interim Ilie Bolojan come primo ministro e definire la sua priorità come la riduzione del deficit di bilancio del governo al 7,5% del PIL”.
Non sarà facile. Bucarest aspetta la normalità da diversi mesi, da quando a dicembre le prime presidenziali del 2024 furono annullate per presunte ingerenze russe a favore di Calin Georgescu, candidato nazionalista poi escluso che ha trasferito i suoi consensi a Simion. Il 46,5% di elettori che ha votato quest’ultimo al ballottaggio necessiterà di risposte per i timori e le sfide che hanno portato una fetta consistente di Paese a scegliere l’ultradestra. Non sarà facile per Dan ricucire il Paese. Ma è l’unico obiettivo sostenibile che può caratterizzare il suo mandato.

VIA LE SANZIONI ALLA SIRIA, COSA SUCCEDE ORA

Ahmad al-Sharaa ottiene il voto di fiducia di Usa e Ue. La sfida di ricostruire il Paese.
Con il breve incontro del 14 maggio 2025 a Riad, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha sdoganato definitivamente agli occhi dell’Occidente l’ex leader ribelle oggi presidente ad interim della Siria, Ahmed al-Sharaa, aprendo a una nuova fase dei rapporti tra Washington e Damasco e all’allentamento delle sanzioni. Strategico e spregiudicato, al-Sharaa, noto anche col nome di battaglia Abu Mohammad al-Jolani, è passato in pochi mesi dall’immagine di leader alla guida di Hay’at Tahrir al-Sham, organizzazione islamista ritenuta terrorista da Usa e Unione Europea, a quella di protagonista della deposizione di Bashar al-Assad tra novembre e dicembre 2024 e, infine, al ruolo di capo di Stato che mira a plasmare una nuova Siria.
Come ha fatto notare il politologo Giuseppe Gagliano su InsideOver, “la decisione di Trump di revocare le sanzioni contro la Siria, accompagnata dall’incoraggiamento a normalizzare i rapporti con Israele, rappresenta un audace cambio di rotta nella politica estera statunitense” dato che “le
sanzioni, imposte durante il regime di Assad per isolare Damasco a causa di violazioni dei diritti umani e uso di armi chimiche, hanno strangolato l’economia siriana, impedendo anche l’arrivo di aiuti umanitari.
La loro rimozione apre la porta a investimenti esteri, in particolare dai Paesi del Golfo, e a un maggiore impegno delle organizzazioni umanitarie, cruciali per la ricostruzione di un Paese devastato da 14 anni di guerra civile”. Caduto Assad, l’Occidente non poteva non permettersi di seguire Turchia e Paesi del Golfo nella corsa alla ricostruzione della Siria, nella consapevolezza che la centralità del Paese levantino aumenterà nella corsa alla ricerca di una nuova stabilità. Un calcolo rischioso, quello di sdoganare definitivamente un ex guerrigliero e il suo governo? Certamente, ma ad oggi l’unica opportunità per permettere di accompagnare la Siria verso il ritorno nella comunità internazionale evitando derive “afghane” o un prosieguo della guerra civile nel contesto di un Medio Oriente nel caos. La politica globale impone compromessi.
E questo è uno dei casi.

OSSERVATORIO INTERNAZIONALE

# 37

27 maggio 2025

Uno sguardo sui temi globali

2025
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6-7-8 maggio

Milano